Blog Storie di Sicilia

Aituzza, bedda Aituzza

Il fercolo di Sant’Agata

A Catania il culto di «Aituzza» è qualcosa di tremendamente serio. Aituzza è Sant’Agata, patrona di una città che, come un’equilibrista alle prime armi, è sempre in bilico tra paganesimo e religione. Anche se il calendario segna come giorno della Festa (la F maiuscola è d’obbligo) il 5 febbraio, vi giuro che è una falsità. La Festa di Sant’Agata è uno stato d’animo permanente. Provate a chiedere a chiunque a Catania c’è nato e lo capirete.

Per i catanesi, atei compresi, non c’è nulla di più importante di Aituzza. Aituzza non è soltanto religione. È culto laico, appartenenza viscerale, icona identitaria.
Per Aituzza i catanesi sono disposti a tutto. Gli atei ad affrontare la moltitudine umana che si riversa in strada. I devoti a indossare u saccu, ungo abito bianco con berretto nero e guantini bianchi da agitare al vento, legato alla leggenda che vuole i cittadini, svegliati in piena notte, correre fuori in camicia da notte per cercare di salvare la non ancora santa, Aituzza, dal rogo voluto dal proconsole romano Quinziano, furioso perché la giovinetta non gli si era concessa.

Co saccu i devoti, in migliaia, trainano per due giorni il fercolo (per tutti affettuosamente a’ vara) sul quale è issato il busto della Martire. Rimangono attaccati al lungo cordone con il quale lo trascinano anche a rischio della vita.
E non è un eufemismo, perché nel 2004 c’è scappato pure il morto, travolto durante la corsa a perdifiato lungo la ripida acchianata ri San Giuliano (salita di San Giuliano per i non etnei), uno dei momenti più suggestivi della Festa insieme alla “cantata delle Clarisse” che a un certo punto risuona all’interno del convento di clausura della barocca via dei Crociferi azzittendo surrealmente – solitamente allo spuntar dell’alba – chiunque sia nei dintorni. Peccato che ormai, per dinamiche che non sto qui a raccontare, negli ultimi anni il momento sia stato molto ritardato così da essere diventato molto meno magico.

I più devoti fra i devoti, quelli cui la Martire avrebbe esaudito le preghiere, si riconoscono dagli enormi ceri accesi caricati sulle spalle. Camminano guardando in basso, curvi per la fatica del peso fisico del voto, attenti a non mettere il piede in fallo e scivolare sulle strade rese viscide dalla cera disciolta di chi li ha preceduti. Sul volto sorrisi lievi trasformati dalla fatica in smorfie di dolore.

Incuranti di tutto ciò che accade loro intorno, i devoti gridano la loro fede al cielo. L’ammaliante cantilena,“Cittadini, cittadini… Semu tutti devoti tutti. Cittadini, viva Sant’Aita”, è intonata alla stregua della decantazione della merce da parte dei venditori dei due mercati storici della città, la “Fera o’ luni” e la “Piscaria”.


Una cantilena che riempie l’aria già pregna del profumo delle mandorle rimestate con lo zucchero con cui i venditori ambulanti preparano il torrone (che, in realtà, è solo un croccante), uno dei simboli gastronomici della festa insieme con le olivette, bocconcini di pasta di mandorla colorata di verde a forma di olive che possono essere anche ricoperte di cioccolato, e le cassatelle di Sant’Agata, o meno prosaicamente minnuzzi ri sant’Aita o ri virgini, dolcetti di forma semicilindrica con pan di Spagna e crema di ricotta ricoperti di ghiaccia e sormontati da una ciliegia candita a mo’ di capezzolo.

Si racconta che ad Agata durante il martirio sarebbero state strappate le mammelle, ricomparse poi il mattino dopo per intercessione divina. Per questo le cassatelle di Sant’Agata sarebbero da mangiare a due a due.

Festa Sant'Agata Catania
Il fercolo di Sant’Agata in processione

Dal punto di vista del folclore non c’è dubbio: visitare Catania nei giorni della Festa di Sant’Agata è un’esperienza segnante. A patto, però, che non soffriate di agorafobia o di demofobia. Si dice, infatti, che la festa sia la terza più affollata al mondo dopo la Settimana Santa di Siviglia e la Festa del Corpus Domini di Guzco in Perù. Ben conscia che nessuno abbia mai fatto una reale verifica, non faccio fatica a crederci. La sensazione che si prova immergendosi nella fiumana di gente che invade le strade al passaggio della vara è straniante. Come durante un’alluvione si fluttua spinti dalla folla verso un punto indefinito.

Ricordo ancora la mia prima volta tra quella folla: avrò avuto 7 o 8 anni, la mano stretta in quella di papà che mi faceva scudo col suo corpo che allora mi sembrava enorme, lo sbalordimento di spostarmi quasi senza muovere i piedi. E subito dopo la paura. Stipata come un’acciuga salata in un barile di legno, senza alcuna possibilità di movimento, ho guardato un tizzone ardente, residuo di un fuoco d’artificio, scendere dondolando fino a posarsi sulla testa di mia sorella. Ho rammentato a lungo l’odore acre di capelli bruciati che, però, non è riuscito a tenermi lontana dal fascino ancestrale alimentato dalle viscere come “mamma” Etna, per tutti a’ Muntagna.

E poi ci sono gli immancabili fuochi d’artificio. Esplodono in onore alla Santa secondo una precisa programmazione. Immancabili quelli di piazza Duomo la sera del 3 febbraio, u focu da sira ‘o tri; quelli del 4 febbraio a Villa Pacini dopo la messa dell’Alba per salutare la prima uscita del fercolo e la sera in piazza Palestro, u focu do Futtino; quelli del 5 febbraio pomeriggio ancora in piazza Duomo all’uscita del fercolo e, dulcis in fundo, quelli più attesi, in piazza Cavour, u focu do Burgu, citati anche in Passau a’ cannalora anche dal cantautore Mario Venuti nell’unico (mi pare) suo pezzo in siciliano, una preghiera laica a Sant’Aituzza affinché restituisca a Catania l’antico splendore.

Aituzza, bedda Aituzza
Se ‘a vita è ‘na iangata, tu fanni ‘na carizza
E tonna a dari ancora a ‘sta città
‘Na ‘nticchia di la to ricchizza

Aituzza, bedda Aituzza ultima modifica: 2020-01-26T19:29:50+01:00 da Mariella Caruso

Pubblicato il 26-01-2020  

Sull'autore

Mariella Caruso

Giornalista professionista per il settimanale Telesette, mamma e nonna. Vado in giro, incontro gente e qui racconto di me, del cibo che assaggio e cucino, della gente che incontro e della mia Sicilia

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