Lì dove da quattordici anni c’è L’Oste e il Sacrestano fino al 1936 c’era una sacrestia. A questo, racconta Chiara, perfetta padrona di casa di questo piccolo e delizioso ristorante nascosto nel centro di Licata, si deve il nome del locale. La scelta è stata di Chiara e di Peppe Bonsignore, l’oste, cresciuto a due passi dall’ex sacrestia, oggi ristorante, trasformata nel tempo anche in una rivendita di attrezzature per le immersioni.
Peppe e Chiara non sono nati osti. Lasciata Licata per Firenze, Chiara faceva la cassiera all’Esselunga, Peppe il maestro elementare anche se il pallino della cucina non l’aveva mai abbandonato. Più che un pallino, in realtà, era un tarlo che un giorno l’ha fatto decidere a tornare a Licata per realizzare il desiderio di aprire la sua osteria.
A L’Oste e il Sacrestano, ancora oggi, si respira aria di casa. E non solo perché i tavoli durante l’estate sono apparecchiati in strada tra quadri appesi sui muri esterni delle case, ma anche per i prodotti rigorosamente locali. «Anche il gambero rosso è licatese perché qui abbiamo una marineria importante», dice Chiara. Nei piatti di Peppe, che si racconta insieme alle sue pietanze, infatti, c’è il ricordo della zuppa di zucchine, tenerumi e patate di nonna Tina. «Io ci aggiungo un disco di ricotta bufalina e una guarnitura di acqua di pomodoro», ammette con orgoglio. La zuppa, insieme al gambero marinato con miele e soja («Amiamo molto la cucina giapponese», sottolinea Chiara) e a una polpetta di ventresca di pesce spada, pomodoro alla carrettiera e zucchine, come piatti d’ingresso del menu “Peppe fai tu”, 7 portate con le quali Bonsignore conduce dentro la sua cucina.
Per continuare ad arrivare in tavola è l’interpretazione della “fauzza” (una focaccia rossa locale) rivista con una base di alalunga cui viene aggiunta una crema di buccia di patate, pomodoro aromatizzato con limone e vaniglia, cubetti di mozzarella di bufala, pane e origano. Poi è il turno del polpo nella versione 2018 («È il “mio” piatto che continuo a migliorare anno dopo anno») cotto con the verde che passa immediatamente da 100° a – 40, appoggiato su una patata fritta tre volte a diverse temperature farcita con gambero rosso e cozze e guarnitura di carota frullata con un po’ di soja per riequilibrarne la dolcezza. Si continua con lo spaghetto Benedetto Cavalieri (cotto soltanto in brodo di crostacei) con vongole crude e cotte su crema di “sparacieddi” e mantecatura di crema di pomodoro rosso e un trancio di ricciola su pesto di carota e pomodoro, patata e pomodoro con vaniglia e miele. A chiudere un sorbetto di limone e melone cantalupo e una rivisitazione del cannolo siciliano.
Mariella Caruso