La memoria è l’ingrediente principale dei piatti di Pino Cuttaia. È scritto anche alle pareti del suo Ristorante La madia, dove sono tornata più o meno a una decina d’anni dalla mia prima visita.
Tanto è cambiato da allora. La sala, ora dominata dal legno di rovere alle pareti. L’allestimento dei tavoli in cui campeggiano ceramiche Arghillè che sono del Sud, ma made in Calabria. La grande vetrata che dà su un piccolo giardino da cui si intravede la strada dove si affacciano le case dalle porte aperte sulla via. Una bellissima foto di Davide Dutto che rappresenta la sicilianità del passato, la convivenza tra le famiglie data dai fili condivisi dove stendere la biancheria tesi su terrazze e cortili.
È cambiato anche il contesto. Licata è più bella di come la ricordavo, i siti archeologici sono maggiormente valorizzati e ci sono anche un paio di strutture dove soggiornare per chi arriva a Licata principalmente per assaggiare la cucina di Pino Cuttaia.
Non è cambiata, invece, la capacità dello chef di evocare ricordi con i suoi piatti. Ricordi vivi di sapori e di gesti che, per me, nata nella stessa isola di Pino (anche se più a est) sono amplificati soprattutto quando utilizza ingredienti come l’alalunga, le alici, il polpo, i tenerumi o le ali di razza. Tutti sapori legati a doppia mandata alla cucina di casa dello chef tornato a Licata perché le radici chiamavano forte.
Mariella Caruso