Un ruolo che amo molto – sottolinea Gioè – perché è inserito in un tentativo sperimentale per la fiction italiana di affrontare tematiche come il mistery.
Il Tredicesimo apostolo rappresenta una mediazione tentata da Canale 5 di fare di una serie squisitamente di genere, un prodotto più adatto al pubblico della fiction italiana che non è certo abituata ai demoni e alle lotte col maligno. C’è stato, però, il coraggio, ripagato dai buoni ascolti della prima serie che ha raggiunto anche il 27% di share, di affrontare il nuovo.
È stata, sicuramente, l’occasione di farmi vedere in un ruolo non connotato regionalmente e culturalmente, ed è stato stimolante il dovermi appoggiare a un tipo di recitazione quasi fumettistica.
A lasciarmi un imprinting molto forte è stato I predatori dell’arca perduta di Spielberg, il primo film che ho visto al cinema con mio padre. L’Indiana Jones di Harrison Ford mi è entrato nelle vene.
Dal punto di vista dell’invasività e della potenza capillare che ha di arrivare ovunque lo è. Dovrebbe essere utilizzata in maniera più coscienziosa sotto tutti i punti di vista, purtroppo è in mano a chi ha molti interessi economici e non fa che mandare messaggi deleteri. Usata in maniera saggia potrebbe essere molto potente anche in senso opposto.
Io ho fatto solo il mio lavoro, recitare. Non sono certo andato a fare un reality o a cercare una popolarità da bravo presentatore. Sono contento che i miei ruoli siano stati apprezzati. Tutto finisce lì.
Ho pure tanto di titolo conseguito all’Accademia d’Arte drammatica D’Amico di Roma. Purtroppo sono stato abituato a vedere persone a ritrovarsi a fare gli attori per caso. Ho visto assegnare ruoli molto importanti a personaggi che poco avevano a che fare con l’arte drammatica, perché qualcuno li aveva messi lì. Questo ha dato molto da pensare a uno come me che rispetta profondamente il lavoro che c’è dietro l’interpretazione. Mi piace difendere la deontologia professionale e non essere felice quando un attore viene scavalcato dal tronista o dalla velina di turno.
Ai tempi del liceo quando mi sono trovato a fare le prime recite in ambito scolastico. A 18 anni feci il provino all’Accademia e mi trasferii a Roma. In questo sono stato supportato sin da subito dai miei genitori, anche se mio padre avrebbe preferito un lavoro, sulla carta, più stabile.
Tendo a pretendere sempre molto da me stesso. Adesso sto cercando di lavorare sulle mie rigidità, non soltanto in ambito teatrale. Fondamentalmente me la prendo troppo a cuore. Una cosa che dovrebbe essere un pregio, ma spesso non lo è.
Mi piacerebbe fare regia teatrale per continuare una passione che ho già alimentato con delle piccole direzioni a Palermo. A teatro mi sento più a casa rispetto al cinema, dove noi interpreti siamo solo degli strumenti. Il teatro è immediato, più gratificante per un attore. Purtroppo, però, il teatro italiano è ingolfato da una “gerontocrazia” di vecchi potentati che non lascia spazio ai giovani.
@mariellacaruso
@volevofare
(Pubblicata su La Sicilia del 5 febbraio 2014)
e anche con questa intervista Claudio Gioè si dimostra la persona umile che ho sempre visto in lui da quando l’ho scoperto come attore,bravo e molto professionale e anche molto simpatico.proprio la persona che sarebbe bello conoscere dal vivo perche pur essendo famoso è rimasto una persona semplice e schietta.comlimenti Claudio. Valeria